Agilità, leadership e gioco del tennis

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Introduzione

Imparare un nuovo mindset, come quello Agile, vuol dire cambiare e quindi abbandonare abitudini probabilmente radicate.

Perché farlo?

Se lo facciamo perché questa è la tendenza del momento, la moda, il così fan tutti, il nostro cambiamento probabilmente non durerà molto e avanzerà con passi rigidi e instabili, ma ben controllati. Seguiremo regole ricavate da innumerevoli corsi e manuali per darci una sensazione di controllo. In altre parole studio come applicare il cambiamento.

Se invece lo facciamo guidati da una profonda necessità interiore di cambiamento allora siamo già sulla strada giusta. 

La leadership e l’Agilità sono temi di cui si parla molto.

Come diventare quindi Agili e assumere uno stile di leadership che sia basato sul trust anziché sul control lasciandosi andare?

Facciamo alcune riflessioni aiutati dal percorso che Timothy Gallwey (ex allenatore di tennis, coach e saggista) ci ha descritto nel libro Il gioco interiore del tennis.

Dobbiamo solo disimparare le abitudini, per poi lasciare che succeda

L’obiettivo, come detto, è cambiare il nostro modo di agire. Un cambiamento esteriore non è mai duraturo se non preceduto da un cambiamento più profondo. 

Cambiare “in profondità” è difficile per vari motivi, oggettivi e soggettivi. Tuttavia, senza voler fare un trattato di psicologia, è certo che possiamo iniziare a cambiare agilmente, ad iterazioni successive, concentrandoci su risultati misurabili: risultati non performance!

Si perché il passo è breve. La ricerca di un risultato implica sperimentare, agire e spesso fallire. Il focus non è la certezza del risultato, non cerchiamo garanzie, il focus è il processo, il percorso che attraverso le sue innumerevoli sconfitte ci porta ad apprendere. Siamo soliti pensare che se sbagliamo allora stiamo fallendo. Questo è solo un modo di vedere l’evento negativo. E se iniziassi a pensare che sto semplicemente imparando un nuovo modo per non fare quella cosa? 

In quanti siamo qui dentro

Utilizzando la metafora del gioco del tennis e del giocatore che sta imparando, possiamo vedere la nostra mente come separata in due, i due sé come li definisce Gallwey. Il primo è quello giudicante, orientato alla performance e al successo, il suo obiettivo è quello di riuscire nell’intento ed è completamente rivolto verso l'esterno. E’ quella parte che è sempre attiva, che non si spegne e che genera quel “chiacchiericcio interiore” che continua a farci pensare a qualcosa in qualunque momento ma che non ci serve, se non per tenere impegnata la mente. E’  come un leader che non si fida dei suoi collaboratori anche se sa benissimo che questi sono in grado di svolgere i compiti a loro richiesti. Tuttavia, per mantenere il controllo organizza le loro attività, li monitora costantemente ed indica loro i passi da fare. 

Il secondo sé ha capacità naturali che possono essere attivate con un pò di allenamento, si basano sull’istinto e sulla registrazione di ciò che osservano. L’osservazione e l’imitazione sono le sue prerogative. 

Il primo sé non ha fiducia dell’altro è un controllore, non ama seguire delle strade nuove. In pratica è la nostra parte che ha bisogno di sicurezza, è assolutamente fragile e incapace di riconfigurarsi a fronte di eventi che lo portano a seguire strade nuove, ha il controllo ed è continuamente attivo. Ci trasmette un senso di sicurezza, lui sa come devono essere fatte le cose! In realtà pensa di saperlo perché spesso, pur provando e riprovando non gli vengono affatto bene!

Allora quando giochiamo a tennis e stiamo imparando, ad esempio, a fare il rovescio, ecco che il sé 1 cerca la regola, ripensa al manuale, controlla ogni muscolo al fine di far progredire il braccio così come la teoria insegna che dovrebbe essere e ricordandosi dei feedback avuti dagli allenatori. Siamo nella mente.

Nella stessa situazione, invece, il secondo sé sarebbe perfettamente in grado di cavarsela perché ha sperimentato diversi “rovesci”, alcuni con successo altri meno, ed ha registrato cosa fare nei casi di successo. 

Facendo un parallelismo con il leader, il leader controllore fa esattamente come il sé 1, mentre il leader che lascia spazio di sperimentare e di sbagliare non si muove su un piano mentale ma cerca nell’esperienza. Quest’ultima spesso arriva proprio dal team, che è competente. 

Il Giudizio

Accettato il fatto che siamo composti da più parti, come il divertente film della Disney Inside out ci ha fatto capire, come facciamo a scardinare il meccanismo  e a far emergere uno stile di leadership più trust?

Abbandonando il giudizio.

Un processo di trasformazione è costellato di successi ed errori. Il fatto che un evento sia a noi favorevole o meno è un giudizio soggettivo che va al di là del senso dell’evento stesso.

In un caso o nell’altro una parte di noi, quella che controlla, tenterà di decodificare l’evento per capire cosa modificare per ottenere un risultato favorevole la prossima volta.

A fronte di una particolare catena di eventi negativi si aggiungerà anche una sfiducia generalizzata che spesso viene rivolta agli altri. Questa stessa fiducia si trasformerà in breve tempo in profezia, instaurando un pericolosissimo ciclo che si auto-alimenta.

Possiamo identificare in questo comportamento lo stile di leadership altamente controllante che ha come effetto quello di disincentivare e deresponsabilizzare le persone. Il leader si sostituisce al cosiddetto follower che deve agire senza alcuna legittimazione e indipendenza.

Per questo leader disinnescare il giudizio vuol dire vedere la catena di eventi negativi non come tali e sollecitare una valutazione critica da parte di tutto il team, insomma come un giocatore di tennis che si guarda allo specchio per osservare gli errori nella sua impostazione.

Vuole anche dire aiutare il team ad osservarsi a fronte di eventi positivi, ripercorrere le azioni fatte e le sensazioni. Memorizzare soprattutto queste ultime possono aiutare le persone a ritrovare la motivazione a fronte di passaggi complicati nel progetto che stanno seguendo.

Lasciare spazio

Il passaggio successivo consiste nel lasciare spazio.

Il leader, che ora è riuscito a osservare e tenere da parte il giudizio,  dovrebbe osservare le persone del team per rendersi conto di quello che realmente possono fare.

E’ molto probabile che in questa fase osservi cose mai viste prima!

Il leader sta andando verso l'informazione e non viceversa. Sta andando a vedere la “catena di montaggio per osservare quanto le persone del team sono già in grado di organizzarsi e di compiere azioni non avendo alle spalle un “metronomo” umano, il leader. Se ci concentriamo totalmente su regole, principi del manifesto Agile, manuali e webinar otteniamo un’esperienza assolutamente teorica. Applichiamo una teoria solo per essere certi di avere tutto sotto controllo, invece dovremmo riscoprire un processo di apprendimento naturale.

Cambiare il modello di leadership

L’armonia tra i due sé si ha quando la mente è calma e focalizzata, Goleman lo definisce lo stato di flusso. Solo allora si può raggiungere una performance ottimale.  

Lo psicologo umanista Abraham Maslow ha chiamato tali momenti “esperienze culmine”. Nella sua ricerca sulle caratteristiche comuni tra le persone che hanno vissuto simili esperienze, riferisce le seguenti descrizioni: «Si sente più integrato» [i due sé diventano uno], «si sente un tutt’uno con l’esperienza», «si sente al culmine delle sue potenzialità», «pienamente funzionante», «a pieni giri», «senza sforzo», «libero da ogni blocco, inibizione, cautela, paura, dubbio, controllo,

autocritica, freno», «è spontaneo e più creativo», «più presente», «non si sforza, non ha bisogni, non ha desideri… si limita a essere».  In sintesi, “armonizzare i due sé” richiede che la mente venga rallentata. Calmare la mente significa meno pensiero, calcolo, giudizio, preoccupazione, paura, speranza, sforzo, rimpianto, controllo, agitazione o distrazione. La mente è quieta quando è ferma nell’ora e nel qui, e attore e azione sono un tutt’uno.

Let it happen

La parola chiave è lasciare. Bisogna quindi tagliare fuori il sé 1 comunicando direttamente con il secondo sé definito da Gallwey così come il leader per stabilire una nuova relazione tra pari deve riferisci al suo bisogno interiore di cambiamento. Questo è il motore del cambiamento che va trasmesso agli altri.

Il leader quindi cambiando il suo approccio cambia la comunicazione e lascia spazio anche agli altri.

Si instaura una relazione leader-leader dove, appunto, i componenti del team sono leader di se stessi in una relazione che ormai è passata la trust (fiducia).

Il cambiamento quindi si espande da cambiamento interiore del leader a uno esteriore, come fuori così è dentro potremmo dire utilizzando la legge di corrispondenza di Ermete Trismegisto.

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