Leadership e comunicazione degli obiettivi

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Definire chiaramente gli obiettivi, ma con quale limnguaggio?

Il leader quali aspetti deve curare?

 E’ meglio evidenziare ciò che il team dovrebbe raggiungere o ciò che dovrebbe evitare? 

Per rispondere a queste domande ho fatto un parallelismo con una sessione di coaching in cui gli obiettivi vanno sempre espressi in positivo. Vediamo perchè e come utilizzare questa tecnica nella gestione della leadership.

 

La definizione dell’obiettivo di una sessione di coaching riveste un'importanza fondamentale al fine del successo della sessione stessa, identifica il punto di arrivo. Assieme al risultato atteso permette ad entrambi gli attori della sessione (coach e coachee) di costruire un percorso di esplorazione, di consapevolezza, di strategia e di azioni. Naturalmente tale obiettivo deve essere carico di motivazioni per il coachee, altrimenti il percorso non avrebbe la giusta energia per essere costruito ed attraversato.

Sappiamo, per chi ha una formazione da coach, che, tra le altre cose, l’obiettivo va espresso in positivo. Perchè? Qual è l’effetto del formularlo in positivo?

C’è differenza tra negativo e positivo?

Esprimere l’obiettivo in positivo permette al coach di facilitare il coachee nella definizione del suo percorso di consapevolezza. L’obiettivo, espresso in maniera chiara e diretta delinea il traguardo che il coachee vuole raggiungere utilizzando risorse che sono già presenti in lui/lei. E’ un viaggio che si intraprende con ruoli distinti costruendo un ponte tra dove il coachee è ora e dove vorrà essere al termine della sessione. 

 

L’obiettivo deve avere quindi una bella energia, intensa e riconoscibile.

 

Partire esprimendo, all’interno dell’obiettivo, un concetto negativo, abbassa l’energia. Proviamo inoltre a pensare cosa succede quando qualcuno ci chiede di non pensare a qualcosa. Dopo pochi secondi noi la pensiamo, magari anche solo per non pensarla…

A parte il gioco di parole, se dicessi: “ora non pensare a quanto eri arrabbiato stamattina” quale effetto sortirei? Sicuramente, anche solo per pochi secondi, la vostra mente vi riporterà a quella sensazione di rabbia, alle sue cause, se note, ma in ogni caso i processi mentali porterebbero parte delle mie energie verso una direzione da cui invece voglio prendere le distanze.

Concentriamoci quindi su ciò che vogliamo piuttosto che su ciò che non vogliamo. Proviamo però a scendere ad un livello più profondo per capire davvero cosa stiamo facendo trasformando in positivo la definizione dell’obiettivo di sessione.

La nostra mente tende a riproporre sempre gli stessi schemi. Ce lo spiega bene Gallwey in uno dei suoi libri, “Il gioco interiore del tennis”. Ma non è il solo, anche John Kotter in un simpatico cartone animato intitolato “Who moved my cheese”, reperibile su youtube, ci mostra come è più semplice aspettare che le cose cambino.

Ma chi le deve far cambiare? Qualche entità esterna? Una magia forse?

Alice: Quale via dovrei prendere? 

Gatto: Dipende dove vuoi andare. 

Alice: Ma io non so dove andare. 

Gatto: Allora non importa quale via prendere!” 

(tratto da Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll)

Se il coachee ha chiesto una sessione è perchè vuole lavorare su qualcosa che non gli sta più bene. Qualche volta ha già le idee chiare, altre, come nel caso di Alice, deve chiarirsele. In questo processo abbiamo un nemico, che Gallwey chiamerebbe il Sé1. Una parte razionale e controllora della nostra mente che vuole fare poca fatica, vuole ripercorrere gli stessi sentieri perchè cambiare implica imparare, andare verso l’ignoto, costruire nuovi schemi mentali e nuove sinapsi. Questa parte vuole comandare, scegliere il percorso da fare, che però sarà sempre lo stesso di sempre.

Lo stesso modo con cui scegliamo un nuovo lavoro, un nuovo partner, una nuova casa o la pizza quando andiamo al ristorante.

Se voglio mettere in atto nuove strategie Galwey e Kotter (ma anche altri) ci dicono che è più semplice ed immediato descrivere la mia voglia di cambiamento parlando di una insoddisfazione: parlo quindi dell’ostacolo, lo rappresento nella mia mente e lo espongo al mio coach.

Implicitamente sto dando a questa immagine mentale energia. E’ come se la facessi continuamente resuscitare anche se, in qualche modo, rappresenta qualcosa che vuole cambiare, evolvere, altrimenti non farei una sessione di “cambiamento”.

Quindi io voglio costruire una nuova strada o, in termini più tecnici un ponte tra questa immagine e il futuro.

Se il futuro lo immagino identico al presente allora inutile percorrere la strada, siamo già arrivati!

Meglio sforzarsi a immaginare un obiettivo che parli del nuovo: ciò che vorrei “al posto di”, come vorrei essere. Insomma cara Alice dove vuoi andare?

Nel momento stesso in cui, con l’aiuto del coach, riuscirò a mettere a fuoco la mia nuova meta, il fatto stesso di descriverla a parole attiva il cambiamento. Credo che ripetere insieme al coachee l’obiettivo, espresso in positivo, sia come un rituale, un mantra. 

L’atto di parlare del resto è vibrazione, lo dicono anche altre discipline, parlare di cose negative abbassa l’energia e quindi la vibrazione. 

Iniziamo quindi la sessione aumentando l’energia, alzando il livello di vibrazione, da qui in poi, verso il futuro.

Conclusione

Coach e coachee sono qui sostituibili con leader e team. Il leader formulando gli obiettivi in positivo inizia un processo di comunicazione che ha vibrazioni, e quindi energie, in crescendo stimolando simili vibrazioni in chi lo ascolta.

La comunicazione è parola e questa è vibrazione e chi ascolta può entrare in risonanza




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