Il coaching come strumento per la leadership agile (parte1)

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Introduzione

Lo stile di leadership, fortunatamente, sta cambiando. Si passa da una modalità di “command and control” ad una di “trust”. Il cambiamento, tanto necessario quanto etico, è sicuramente stato facilitato dall’ emergere di nuove metodologie di organizzazione del lavoro e di consapevolezza, tra queste l’Agilità ed il coaching.

Il leader non è solo colui che gestisce il team e da’ il ritmo, ma deve utilizzare le leve dell’intelligenza emotiva per entrare in relazione con gli altri, puntando al potenziamento dell’altro. Il leader-coach lavora col singolo ma nell’ottica del gruppo.

Di seguito vedremo come l’evoluzione della leadership può essere agevolata dall’utilizzo di tecniche di coaching per condurre i gruppi Agili  verso un livello di interdipendenza così come dettagliato da John Whitmore nel suo libro Coaching.

La leadership: verso quale cambiamento?

Se vogliamo vedere come un cambiamento di approccio nello stile di leadership abbia delle conseguenze positive, possiamo leggere il libro di D. Marquet “Turn the ship around”. In questo libro l’autore, ex comandante di sottomarini nucleari americani, si rende conto che il paradigma del “command and control” tipico dell’ambiente militare può essere sovvertito. Attraverso una “rieducazione” dalla forma di comunicazione il comandante riesce a far emergere le ottime competenze del suo equipaggio facendolo diventare un alleato. Marquet implementa un modello leader-leader in cui l’empowerment dell’equipaggio  non è avulso dall’emancipazione, dalla liberazione e dal riconoscimento delle capacità del singolo, della sua creatività e del suo valore come persona.

In sostanza empowerment è “un movimento da” e non “un movimento per”: un movimento da dentro e non uno per arrivare subito a qualcosa. Diverse altre fonti autorevoli tra cui Goleman, Kahnemann e Gallwey ci parlano di intelligenza emotiva, stato di flusso, dialogo interiore e interferenze. Von Sharmer attraverso la sua teoria U ci conduce in un viaggio per reinventare il nostro futuro lavorando su temi che possiamo trovare anche nel coaching.

Abbiamo quindi molte tecniche e conoscenze su come funziona l‘individuo e il gruppo.

I tempi, nelle aziende, sono sempre più veloci. Ciò che tecnologicamente è attuale oggi è vecchio tra qualche mese quindi è importante avere team performanti.

Il leader però può non essere più quella figura “grigia” che comanda le persone avendo in mente solo gli obiettivi aziendali ed il processo come unico indicatore di risultato.

Come può cambiare il suo stesso stile e cosa può fare sugli altri? Con quali effetti e soprattutto quali tecniche utilizzare?

Possiamo seguire diverse metodologie e mindset ma ritengo che l’agilità ed il coaching se messi a fattor comune possano fornirci un insieme di tecniche e principi per far evolvere il leader verso una modalità interdipendente in cui i team sono auto organizzati, il leader è anche coach, le persone sono al centro e ci si sposta verso un concetto di intelligenza collettiva tutto all’interno di uno stato di flusso.

Lo stato di flusso

Lo stato di flusso è un concetto spiegato molto bene da Daniel Goleman (psicologo, giornalista e scrittore statunitense) in un bellissimo video che è possibile trovare su youtube “The art of managing with emotions”. Indipendentemente dall’attività, se una persona è in questo stato la sua attenzione è totalmente focalizzata su ciò che sta facendo, è flessibile rispetto agli imprevisti (antifragile), attiva tutte le skill ai massimi livelli e ...si sente bene!

In questo stato le persone sono quindi antifragili: di fronte all’imprevisto non diventano più resistenti facendo comunque “muro”, ma evolvono, cambiano, si adattano tentando di vedere il cambiamento come opportunità.

Anche Paul Kotter ce lo mostra nel suo divertente cortometraggio sui pinguini, anche questo reperibile su youtube e intitolato “Our iceberg is melting”. Kotter vuole raccontarci le fasi principali per introdurre un cambiamento. In questo video emergono la necessità di essere antifragili di fronte ad un evento inaspettato e negativo per la nostra sopravvivenza, guardare avanti, comunicare, provare dandosi obiettivi misurabili e realistici, identificare le azioni e quindi ...partire.

Ecco che emergono concetti del coaching mindset...

In quanti siamo qui dentro

Gallwey nel suo libro “Il gioco interiore del tennis”, utilizzando la metafora del gioco del tennis e del giocatore che sta imparando, ci parla di due sé presenti dentro di noi. Il primo è quello giudicante, orientato alla performance e al successo, il suo obiettivo è quello di riuscire nell’intento ed è completamente rivolto verso l'esterno. E’ quella parte che è sempre attiva, che non si sa spegnere e che genera quel “chiacchiericcio interiore” che continua a farci pensare in qualunque momento ma che non ci serve, se non per tenere impegnata la mente, è un’interferenza. E’  come un leader che non si fida dei suoi collaboratori anche se sa benissimo che questi sono in grado di svolgere i compiti a loro richiesti. Tuttavia, per mantenere il controllo, organizza le loro attività, li monitora costantemente ed indica loro i passi da fare.

Il secondo sé ha capacità naturali che possono essere attivate con un pò di allenamento, si basano sull’istinto e sulla registrazione di ciò che osservano. L’osservazione e l’imitazione sono le sue prerogative, il rispecchiamento è una sua dote. Le neuroscienze ci insegnano che i neuroni specchio sono un meccanismo di apprendimento fondamentale.

Il primo sé non ha fiducia dell’altro, è un controllore, non ama seguire delle strade nuove. In pratica è la nostra parte che ha bisogno di sicurezza, è assolutamente fragile e poco capace di riconfigurarsi a fronte di eventi che lo portano a seguire strade nuove, ha il controllo ed è continuamente attivo. Ci trasmette un senso di sicurezza, lui sa come devono essere fatte le cose! In realtà pensa di saperlo perché spesso, pur provando e riprovando non gli vengono affatto bene!

Allora quando giochiamo a tennis e stiamo imparando, ad esempio, a fare il rovescio, ecco che il sé 1 cerca la regola, ripensa al manuale, controlla ogni muscolo al fine di far progredire il braccio così come la teoria insegna che dovrebbe essere e ricordandosi dei feedback avuti dagli allenatori. Siamo nella mente.

Nella stessa situazione, invece, il secondo sé sarebbe perfettamente in grado di cavarsela perché ha sperimentato diversi “rovesci”, alcuni con successo altri meno, ed ha registrato cosa fare nei casi di successo e l’insuccesso è comunque un apprendimento

Facendo un parallelismo con il leader, il leader controllore fa esattamente come il sé 1, mentre il leader che lascia spazio di sperimentare e di sbagliare non si muove su un piano mentale ma cerca nell’esperienza, come suggerito dall’agilità, prima di tutto gli esperimenti.

L’esperienza e la definizione degli esperimenti sono prerogativa del team, che è (si spera) più competente del leader in questi ambiti.

Il Giudizio

Accettato il fatto che siamo composti da più parti, come il divertente film della Disney Inside out ci ha fatto capire, come facciamo a scardinare il meccanismo e a far emergere uno stile di leadership più trust?

Abbandonando il giudizio.

Lo stile di leadership altamente controllante ha come effetto quello di disincentivare e deresponsabilizzare le persone. Il leader si sostituisce al cosiddetto follower che deve agire senza alcuna legittimazione e indipendenza.

Per questo leader disinnescare il giudizio vuol dire vedere la catena di eventi negativi non come tali e sollecitare una valutazione critica da parte di tutto il team, insomma come un giocatore di tennis che si guarda allo specchio per osservare gli errori nella sua impostazione.

Vuole anche dire aiutare il team ad osservarsi a fronte di eventi positivi, ripercorrere le azioni fatte e le sensazioni. Memorizzare soprattutto queste ultime possono aiutare le persone a ritrovare la motivazione a fronte di passaggi complicati nel progetto che stanno seguendo.

Lasciare spazio

Il passaggio successivo consiste nel lasciare spazio.

Il leader, che ora è riuscito a osservare e tenere da parte il giudizio, dovrebbe osservare le persone del team per rendersi conto di quello che realmente possono fare.

E’ molto probabile che in questa fase osservi cose mai viste prima!

Il leader sta andando verso l'informazione e non viceversa. Sta andando a vedere la “catena di montaggio” per osservare quanto le persone del team sono già in grado di organizzarsi e di compiere azioni non avendo alle spalle un “metronomo” umano, il leader.

Nella seconda parte dell'articolo vedremo come il coaching si integra per estendere le competenze del leader.

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