Leadership e spiritualità

Loading

Recentemente, un filone americano di studi ha lanciato l’idea di valorizzare il "capitale spirituale" come variabile fondamentale per la produttività delle organizzazioni aziendali e nei luoghi di lavoro.

Di spiritualità se ne parla poco e spesso male, confondendo la spiritualità con la religione. In verità, quando intratteniamo un dialogo costante e fecondo con la nostra anima e ci prendiamo cura dei suoi bisogni la nostra vita prende una direzione diversa. Del resto Gardner, con la teoria delle intelligenze multiple, e Goleman, con il paradigma dell’intelligenza emozionale, hanno già aperto la strada a visioni diverse del nostro modo di farci strada nella vita. L’intelligenza spirituale è la capacità di ascolto dell’anima, quella marcia in più che trasforma la motivazione in passione, la volontà in vocazione, la fiducia in fede e la capacità in responsabilità. Perché, dunque, non utilizzarla come driver nei modelli di leadership?

S. Covey, ne L’ottava regola mette a confronto la leadership come posizione (autorità formale) e la leadership come scelta (autorità morale).

La dicitura "autorità morale" è - di fatto - un ossimoro che racchiude tutta la potenza delle dicotomie generative: autorità morale significa ottenere influenza seguendo principi etici. Autorità morale significa uno stato di presenza, guidato dallo "spirito di servizio" al di sopra di sé stessi.

Quando leader con autorità formale o potere, dato dalla loro posizione, si rifiutano di usarlo se non come ultima risorsa, aumentano la loro autorità morale. Infatti, mettono da parte l’ego e, al suo posto, utilizzano qualità come persuasione, gentilezza, empatia e, in breve lealtà.

Otto Scharmer con la sua U-Theory (una delle metodologia più innovative nel panorama del change management) ci insegna a co-progettare soluzioni efficaci per le organizzazioni, in un panorama complesso, come il mercato del lavoro, caratterizzato da volatilità, incertezza e ambiguità.

Secondo Scharmer la differenza la fa il punto di consapevolezza da cui hanno origine le nostre azioni. E leadership diventa allora la "capacità di spostare il luogo interno da cui operiamo".

Il modo in cui si presta attenzione dà forma al dispiegarsi della realtà sociale attorno a noi, perché l’energia segue l’attenzione.

Ovunque poniamo attenzione come leader, innovatori, genitori, agenti del cambiamento, lì si indirizzerà l'energia del sistema che ci circonda, inclusa la nostra stessa energia.

La chiave della grande leadership risiede, quindi, nella capacità di restare concentrati.

Purtroppo, però, nostra abitudine a pensare per pensare – osserva Kabat Zinn, il fondatore della Mindfulness - ha, tra le varie conseguenze, quella di espellere dalla mente (che qui intendiamo come il nostro campo di coscienza) alcune qualità, in primis, la consapevolezza. Noi tutti tendiamo a sfuggire la consapevolezza per rimanere attaccati ad una visione fasulla del mondo, incentrata su un punto di vista egoico.

La visione del leader oggi, invece, non può più essere quella del capo che si mette davanti al gruppo e lo guida verso gli obiettivi, ma deve necessariamente uscire dalla logica di pensiero ego-centrata, per entrare in uno stato di consapevolezza eco-sistemica e portarsi al passo con la realtà del nostro mondo globalmente interconnesso. Diventa allora fondamentale dotarsi di strumenti di crescita personale che consentano al leader di attivare un nuovo paradigma di pensiero con cui lavorare prima su di sé e poi nel gruppo (di cui lui stesso fa parte). Il nuovo mind-set di competenze implica una qualità di ascolto e di presenza che consentano al leader di percepire le sfide del futuro, di ispirare il gruppo, di creare nuove possibilità di sviluppo.

La leva economica, infatti, non è più sufficiente a spiegare il benessere soggettivo e la felicità è veramente tale solo nella reciprocità. Non è un caso che nel 2006 l’Oms abbia aggiunto alle condizioni del benessere anche quello spirituale, di cui già ci parlava Maslow come ultimo gradino in cima alla piramide dei bisogni.

Ogni uomo deve decidere se camminerà nella luce dell'altruismo creativo o nel buio dell'egoismo distruttivo Martin Luther King

Nel mondo di oggi, in rapida e drammatica evoluzione, l'affermazione di sé dipende sempre più da come interagiamo con gli altri. Lo dimostra Adam Grant, giovane e brillante docente alla Wharton School, che nel libro Più dai più hai traccia tre profili che corrispondono ad altrettanti stili di azione: il giver (colui che antepone il dare al ricevere), il matcher (colui che, nel rapporto dare-avere punta al pareggio), il taker (colui che prende e basta):

I givers di successo sono quelli che hanno a cuore sia gli interessi degli altri che i propri,

diventando strategici nel modo in cui donano. Sono generosi con altri givers o matchers, in modo da massimizzare i risultati. Donare è un comportamento virale, ed i givers, mandando energia positiva nel loro network, attraggono nel tempo persone simili a loro, creando quindi una rete ricca di opportunità condivise con tanti.

Quali sono, allora le qualità che può coltivare un leader che vuole portare spiritualità e benessere all'interno della sua organizzazione?

Inanzitutto la gentilezza.

Oggi il termine “gentilezza” abbraccia una gamma di sentimenti descritti con parole diverse: solidarietà, generosità, altruismo, benevolenza, umanità, compassione, pietà, empatia. In passato questi sentimenti erano conosciuti con altri nomi: philantropia (amore per l’umanità) e caritas (amore per il prossimo). I significati cambiano, ma tutti questi termini rimandano all'idea di “cuore aperto”, cioè essere bendisposti verso gli altri.

In secondo luogo l’ascolto. Secondo Scharmer ci sono 4 livelli di ascolto 1. Ascolto di downloading (ascoltare quel che ci si aspetta di sentire) 2. Ascolto fattivo (prestare attenzione a ciò che ci sorprende) 3. Ascolto empatico (entrare nel punto di vista dell’altro) e 4. Ascolto generativo (connettersi con il futuro, lasciando andare il passato).

L’arte della leadership consiste, allora, nel facilitare il passaggio da un tipo di ascolto ad un altro.

Ed infine la fiducia, intesa come sentimento di base dell’anima, sulla quale si può fondare una vita attiva, dedita al bene e alla giustizia. L’anima è il tutto, è libera, inclusiva e già perfetta così com'è, senza bisogni e senza desideri.

Nella visione egoica si generano energie conflittuali, perché predominano barriere e inquinanti. La visione del mondo animica, invece, crea una campo di energie positive e di relazioni armoniche che possono facilmente divenire contagiosi e contribuire fattivamente a generare benesssere e crescita feconda in qualunque organizzazione.

Meditate, gente, meditate...

Trovate questo articolo anche sul mio blog, Allena i Pensieri.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *